Gli Augias non fanno cultura, gli Augias sono «devoti
della cultura», categoria cui Marc Fumaroli ha dedicato un libro decisivo, «Lo
stato culturale». Per dire: Philippe Daverio fa cultura (mette brillantemente
la sua competenza al servizio del mezzo), gli Augias (ce ne sono tanti) usano
la parola cultura come schermo, la impregnano di un significato volontaristico
e missionario (ah, quel pubblico da redimere composto materialmente e
idealmente di professoresse!), la fanno diventare qualcosa di simile a un
progetto mistico, a una pianificazione, a un catechismo sociale, a un gadget da
servizio pubblico.
Gli Augias
sono gli idoli del ceto medio riflessivo, soddisfatti di apparire credendosi
un'apparizione. E, sempre cedendo all'insistenza di qualche principio
superiore, usano la «cultura» con un certo dirigismo che, per altro, influenza
il mercato dei libri. Vorrebbero dedicare una parte della loro vita ad altre
cose, ma per fortuna poi si mettono al nostro servizio in quella vasta e
sorprendente vanity fair che è la tv.
Aldo Grasso, Corriere della Sera, 21 Marzo 2012
Al piano
sotto casa mia abita un signore che
veste sempre di bianco e si crede il papa.
La
mattina si sveglia e sorride al mondo. Si sistema seduto appoggiando il cuscino
in verticale sullo schienale del letto, si stropiccia gli occhi. La figlia che
lo asseconda da tanto tempo gli porta ogni mattina a letto l’Osservatore Romano e due fette di pane e marmellata di mele cotogne,
che lui tanto ama sin da quando era bambino. Sorride alla figlia come un Padre,
un Santo Padre. La benedice. Non prende mai il caffè perché soffre di pressione
alta (anche Pietro, d’altronde si dice che avesse di tali problemi), si concede
quindi un bicchiere di latte freddo. Finita la lettura va in bagno e compie i
riti mattutini (si vocifera che sotto la doccia canti le canzoni di Lucio
Dalla. Dio l’avrà in gloria). Quindi si veste in abito talare e si affaccia
alla finestra del balcone da cui celebra la messa delle undici e impartisce la
benedizione. Urbi et Orbi ovviamente.
Questo
tutti i giorni.
Al piano
sopra a casa mia invece abita un signore che veste sempre di nero e si crede il papa.
Non ha
figli. Non ha moglie. È solo. Tutte le mattine dopo aver fatto colazione con un
cannolo siciliano e della coca cola va al bagno e canta a squarciagola sotto la
doccia Un papa nero dei Pitura
Freska. Si commuove sempre un po’ sul ritornello. Poi si veste dei suoi drappi
scuri e aspetta quieto quieto che esca sul balcone il papa del piano di sotto
per fare la sua benedizione delle undici. Attende che sia bene in vista, poi
gli fa un gavettone.
Questo tutti i giorni.
Questo tutti i giorni.
Non
avevo mai pensato di ritrovarmi, così lontano dal colonnato del Bernini a
essere condomino di due papi. La cosa un po’ mi diverte e un po’ mi turba.
Devo
ammettere che il papa bianco, è bravo, è davvero bravo: nelle sue prediche parla
di Amore, di Carità, di Solidarietà, di Giustizia, di Verità, e di tante altre
belle cose e ogni volta instilla negli spazzini della via privata sulla quale
il suo balcone si affaccia vera fede cristiana. Non so perché il papa nero ce
l’abbia con lui, forse vorrebbe essere lui il papa bianco, forse è perché non
ha un balcone da cui affacciarsi e benedire via pellizzone.
Quando
sono arrivato in libreria, mezz’ora prima, era già tutto pieno di vecchie. Si
sventolavano i loro ventagli l’una sul collo dell’altra, tutte eccitate come
teenager, si dilungavano a chiedersi ossessivamente “ma cosa dirà, ma cosa dirà?
Oh come mi piace…è tanto bravo, tanto..:”. Poi immancabilmente il discorso
finiva sul nipote che non riesce a laurearsi o che si sta laureando (“Ah sul
serio? Complimenti. Complimenti a lei, signora. No, complimenti a noi,
signorissima”) o che vorrebbe laurearsi ma intanto soffre perché non troverà il
lavoro quando lo cercherà se si laureerà e quindi non si sposerà e non figlierà
e lei non nonnerà e quando andrà all’aldilà felice non sarà. O variazioni sul
genere tipo la cucina e il tempo.
E il
tempo libero? Per adesso son giunte tutte là a stormi a ascoltare Corrado
Augias.
Appena
apre bocca, anzi no, appena fa la a comparsa in libreria, ben vestito,
spettinato in maniera pettinata, con la sua parlata ordinata, pulita, elegante,
con le sue citazioni ordinate, sapienti, conturbanti, con il suo nuovo libro di
nuovo editore, colore, sapore, ecco già quando lo vedo salire sul palco me ne
accorgo:
è lui il
papa bianco.
[Questa volta l’intervista audio non mi è stata
concessa per problemi di tempistica, dovendo il signor Augias prendere un aereo
per Roma. Comunque mi ha dato modo di contattarlo successivamente e gentilmente
ha trovato il tempo per rispondere alle mie domande. Lo ringrazio nuovamente]
D: Nei
suoi libri precedenti lei si è confrontato con la religione del Cristianesimo e
con l’istituzione della chiesa cattolica; in questo affronta il tema della
libertà e della coscienza civile degli italiani. Può descriverci in cosa
consiste secondo lei la continuità della sua ricerca personale?
R: Per
rispondere alla sua domanda devo prima parlare di un episodio che racconto anche nel libro: nel 1993 il
giornalista Pino Nicotri, in una mirabile inchiesta (Tangenti in confessionale), fingendosi un affarista pentito in
piena crisi spirituale e morale dopo essere stato pesantemente coinvolto nei
processi di tangentopoli, andò in alcune delle più importanti chiese italiane,
portandosi dietro un registratore. La domanda cruciale che rivolgeva al
confessore era se dovesse collaborare o meno con la magistratura inquirente. Nonostante
il cardinal Martini (sant’uomo!) avesse recentemente esortato tutti coloro che
erano stati coinvolti in tangentopoli a collaborare con la giustizia, la
risposta del confessore era quasi sempre orientata in senso opposto, formulata
in termini che sottolineavano la priorità del pentimento privato su quello
pubblico. Un confessore nel duomo di Milano (quindi nel cuore del vescovado di
Martini) gli disse “io se fossi in lei non mi presenterei”. Ma ci pensa? Un
pastore di anime!Un altro, nella chiesa di Sant’Ambrogio: “Nessuno è costretti
a tradirsi. Non mi pare che sia veramente il caso”.
Ecco,
capisce qual è il filo rosso della mia ricerca? Ci sono delle zone grigie delle
quali trovo sia giusto parlare e credo sia fondamentale riuscire entrare nel
cuore delle ipocrisie, provare a comprenderle, analizzarle e lasciare che sia il lettore a portare a compimento la riflessione. Nell’affrontare l’istituzione
del Cristianesimo o la coscienza civile degli italiani mi sono sempre posto
come obiettivo di fondo quello di far emergere la verità.
D: L’Italia
è secondo “Freedom House al quarantesimo posto nella classifica mondiale sulla
libertà di stampa, dietro a Cile, Benin e Namibia; altre classifiche ci mettono
al sessantanovesimo posto mondiale per quanto riguarda la corruzione e
addirittura all’ottantasettesimo per
l’occupazione femminile. Non è questa la radiografia di un paese che
civilmente appartiene al sottosviluppo? Non è che da troppo tempo viviamo
nell’illusione che loro malgrado ci hanno regalato dei geni isolati (da Dante a
Leonardo da Vinci a Caravaggio a Enrico Mattei a Giulio Natta a Piero Gobetti a
Lorenzo De Medici a Camillo Benso di Cavour)? Non crede che da sempre siamo
molto distanti rispetto allo status che l’arte, la cultura e lo sviluppo
economico ci hanno educato a pensare nostro?
R: Sono
in parte d’accordo, anche se trovo la sua conclusione un po’ eccessiva. La
questione è complessa e ho provato a dipanarla nel mio libro: il paese viene da
18 anni di governi Berlusconi in cui l’istituzione democratica è stata presa
d’assalto da tutti i punti di vista e 18 anni non sono pochi. Però bisogna
stare attenti: la democrazia è anche uno specchio e il rischio è che quelle
fattezze grottesche che va riflettendo siano davvero le nostre. Quanto Berlusconi ha riflettuto l’Italia?
Cosa inquadrano quelle statistiche che lei ha citato? Inquadrano senz’altro una
situazione di estrema precarietà dei diritti civili che è due volte figlia
nostra: in quanto cittadini e in quanto elettori di governi che non hanno fatto
altro che tollerare e quasi stimolare il nostro peggiore malcostume. Allo stesso
tempo penso però che il paese sia ricco di risorse e credo sia in grado di reagire
a questi 18 anni di sonno della ragione e di mostri.
Ciò a
cui non so rispondere è quanto possa volerci per uscire dal baratro civile in
cui siamo piombati; anche perché io non
sono uno di quelli che crede che non rivestendo più alcun ruolo istituzionale,
Berlusconi abbia desistito dal desiderio di riuscire a influenzare ancora i
futuri governi per fare il proprio utile. Ha troppi interessi in Italia per
potersi ritirare.
D: Lei
si è espresso più volte e in più occasioni sulla libertà di espressione e di
informazione. Riguardo a tale tema non bisogna dimenticare come oggi la
diffusione e la sopravvivenza di un organo di informazione siano soggette alla
legge del mercato. Pensiamo al caso de Il
manifesto: non crede che la chiusura di un giornale sia di per sé una
perdita per la libertà di stampa di un paese? È davvero più giusta una
dimensione completamente liberista in cui, come vuole Beppe Grillo e il
“Movimento 5 Stelle”, senza i finanziamenti statali i giornali devono pensare
in primis alle vendite per sopravvivere? Il rischio non è un appiattimento
dell’informazione?
R: E’ una
situazione delicata, anche perché di per sé Il
manifesto è un giornale abbastanza anomalo nel panorama dell’informazione.
Il problema dei finanziamenti statali è emerso come tale perché non siamo
riusciti a gestire la cosa nel modo in cui un paese civilmente maturo dovrebbe.
Io non credo che i presupposti di tale finanziamento siano sbagliati: sono
stati i criteri che lo regolavano ad aver generato l’indignazione dei
cittadini. Credo che l’opinione pubblica possa avere solo dei vantaggi dal
coesistere di un numero elevato di testate; allo stesso tempo non si può in questo modo giustificare la
pioggia di denaro pubblico che in passato è caduta su organi di partito come Il campanile dell’UDEUR di Mastella.
Ecco, credo che quelli che sono giornali di partito debbano trovare modi
alternativi per autofinanziarsi, e orientarsi a spostare sempre più la testata
sul web così da evitare almeno i costi di stampa. Il caso de Il manifesto è diverso e io credo che
testate con una storia come quella non possano chiudere dall’oggi al domani. Ho
molto apprezzato l’appello che hanno rivolto ai propri lettori per aumentare le
vendite; ma non credo che lo Stato sia in questo momento nelle condizioni per
potersi esporre così tanto per un giornale così dichiaratamente di sinistra.
Non so neanche loro a quali condizioni accetterebbero aiuto, conosco la
direttrice e mi sembra una donna di grande responsabilità e fermezza.
D:Una
fede religiosa comporta anche la sottomissione sia a un’autorità divina che a
un’autorità istituzionale, rappresentata da un clero che si fa mediatore del
rapporto collettivo con la divinità. Lo spazio della libertà religiosa del
singolo non può non ritrovarsi quindi a essere ridimensionato laddove egli
scelga l’adesione a un credo istituzionalizzato e gerarchizzato. Come pensa che
tale impostazione possa influire sulla coscienza civile di un cittadino e sulla
sua concezione della libertà? Come pensa che tutto ciò abbia avuto rilevanza
nel successo di personalità politiche fortemente autoritarie in Italia?
R: Sull’argomento
della libertà personale all’interno di un culto organizzato sono secoli che si
disputa, pensi solo alla difficoltà del conciliare una divinità onnisciente e
onnipotente con il concetto del libero arbitrio o a tutte le discussioni sull’origine
del male; già Agostino si chiedeva “Unde malum?” e già Dante aveva messo in
bocca a Marco Lombardo nel canto XVI del Purgatorio una dissertazione sul
libero arbitrio. Quindi
come vede è un problema di vecchia data che la comunità cristiana non è ancora
riuscita a risolvere del tutto. Il rapporto chiesa-potere è anch’esso di
vecchia data e credo che gli orientamenti e le prese di posizione politiche dei
vari papi e vescovi e la loro vicinanza ad uno schieramento politico o la loro
lontananza abbiano contribuito a plasmare una certa forma mentis nell’italiano:
tutte le volte che l’interesse contingente si è scontrato con l’anima del
messaggio cristiano e il primo ha avuto la meglio sul secondo, i fedeli
italiani hanno perso un pezzetto di libertà nel loro modo di concepire il reale e, qualora si siano adeguati senza alcun ripensamento, anche un pezzetto della loro coscienza civile. Nel mio libro c’è
tutto un capitolo dedicato a questo argomento e sulla questione della doppia morale.
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