martedì 14 febbraio 2012

Ludwig, Gott Mit Uns?


Ascolta l'intervista a Monica Zornetta:



Quando prendo in mano il libro la prima cosa che noto è la faccia dei due ragazzi: giovani, 24, 25 anni, ma potrebbero essere anche di meno; capelli lisci lunghi, volto pulito, connotati quasi efebici l’uno; capelli crespi, un accenno di barba, lo sguardo perso, l’altro.

Dove sono ora quelle facce? Le persone che le indossano sono le stesse? Cerco su internet. Quando trovo le prime immagini la sorpresa è notevole: Marco Furlan e Wolfgang Abel sono ora dei vecchi. Molto più dei 51 e 52 anni che segnano le loro carte d’identità. Più vecchi di Mario Capanna. Più vecchi di Renato Curcio. Più vecchi di Topolino. Più vecchi di Hitler. Scuoto la testa:  non ce l’hanno fatta neanche loro a sopravvivere al tempo. Non con quello che hanno fatto.
Nemmeno il loro caso è però riuscito a sopravvivere al tempo: quelli che avevano più o meno la loro stessa età all’epoca del processo, passando davanti alla vetrine delle librerie ove è esposto il libro non paiono riconoscerli, non si fermano nemmeno, forse fanno finta, forse no. Anche loro dei vecchi, anche la loro memoria. Panta rei. Chissà se è vero ovunque, chissà  se anche a Verona la pensano così.
Monica Zornetta è una brava giornalista e sa che in casi come questo è importante fermare il corso del fiume, tornare indietro, osservare, ascoltare. Ludwig non è una storia che capita tutti i giorni e forse proprio per questo si prova più sollievo a seppellirla.

Chi racconta Ludwig racconta di un mostro a due teste affamato di purificazione uscito dalle viscere della migliore borghesia veneta.

Chi racconta Ludwig racconta di un processo e di due condanne a 27 anni di carcere.

Chi racconta Ludwig  racconta di 15 morti assassinati brutalmente, dal 1977 al 1984.

Dentro la storia di Ludwig c’è molto, forse troppo. C’è la retorica dei bravi figli di famiglia che diventano assassini. C’è Verona in quegli anni. C’è la questione spinosa sui confini della cronaca nera e sui doveri del giornalismo. C'è una coppia di serial killer italiani in italia. C’è un’ossessione (religiosa? pagana? umana?politica?) che deraglia in maniera incontrollabile. C'è una serie di lettere di rivendicazione degli omicidi inquietanti (che si fanno sempre più deliranti). C’è un rapporto morboso e una dipendenza omoerotica, allo stesso tempo negata e sublimata come amicizia, che trova sfogo solo nella violenza. C'è un "rogo di cazzi".C’è l’avvocato Niccolò Ghedini (per dire), coetaneo di Abel e Furlan e vicino agli ambienti giovanili della destra neofascista veronese, che li difende in tribunale assieme a Piero Longo. C’è la vita degli assassini e la morte degli assassinati. C’è il neonazismo e i movimenti di estrema destra dell’epoca (nonostante i due non fossero affiliati a nessun gruppo organizzato). C’è forse una verità, ma solo una delle molte. C’è il dubbio che se non ci fosse stato il caso non ci sarebbe niente di tutto questo.
Non è decisamente un paese per vecchi.

Alla libreria popolare di via Tadino c’era Monica Zornetta e a lei abbiamo posto alcune domande:
“Durante il procedimento giudiziario sono stati scartati, seguendo la linea della seminfermità di mente di Abel e Furlan, alcuni elementi interessanti per quanto riguarda il numero dei partecipanti agli omicidi: 3 furono i biglietti venduti a Furlan dalla cassiera dell’Eros Sexy Center di Milano; 3 secondo i testimoni gli uccisori dei frati; 4 persone addirittura quelle viste dal testimone dell’omicidio del sommelier padovano. Lei crede sia stata abbandonata una pista che forse avrebbe portato a una verità diversa?”
MONICA ZORNETTA: “Si, certo. Io sono certa che non sia assolutamente stata presa in considerazione questa pista. Volutamente o no, questo non lo so. Però effettivamente in più casi i testimoni hanno parlato di più di due persone in molti dei luoghi dei delitti. E lo stesso Abel, che ho intervistato in esclusiva e che racconta la sua verità nel mio libro, parla di un’organizzazione composta di 4,5 persone ai vertici e alcuni fiancheggiatori: una sorta di mostro di Firenze in senso veronese.”
“Crede che i giornalisti dell’epoca abbiano sbagliato contribuendo a creare attorno al caso quella confusione di cui Ludwig si è servito per nascondersi? Penso in particolare agli articoli sul docente di Brescia, il famoso “professor Computer” e al quotidiano La Notte.
MZ: “Certo, noi parliamo del docente di Brescia…certo, in quel caso là più che i giornalisti sono state delle deviazioni da parte dei magistrati. Posso dire invece che ci sono stati dei giornalisti, penso in particolare a Gianni Cantù, decano dei giornalisti veronesi, che hanno seguito dall’inizio alla fine il caso e che hanno sempre insistito per la tesi delle più persone presenti agli omicidi…certo le intenzioni e i percorsi seguiti dalla giustizia sono stati diversi.”
“Quale crede dovrebbe essere il ruolo dei giornalisti di fronte alle indagini della polizia?”
MZ: “I giornalisti di fronte alle indagini….non è facile rispondere a questa domanda perché ci sono dei segreti a cui ovviamente anche noi dobbiamo sottostare….certo è quello di scavare comunque, di raccontare una verità. Io con  Ludwig. Storie di fuoco, sangue, follia  ho cercato di raccontare alcune delle diverse verità che stanno dietro alla vicenda: una verità storica, che è quella processuale, che ha visto i due ragazzi uscire come gli unici due condannati e responsabili della vicenda Ludwig; ma ho voluto dare spazio anche a Wolfgang Abel, uno dei serial killer, con la sua verità; e poi ho voluto vedere se dal punto di vista psichiatrico ciò che era emerso, le due verità emerse, potessero essere ancora valide, e ne uscita una terza verità ancora…”
“Quanto conta la capacità di raccontare una storia come questa e quale lei crede che sia l’effetto da raggiungere?”
MZ: “Il linguaggio che si utilizza, insieme alla serietà della ricerca, alla ricerca approfondita, all’obbiettività, penso sia fondamentale. In Ludwig. Storie di fuoco, sangue, follia c’è un linguaggio più vicino al romanzo che a quello dell’inchiesta, però c’è un distacco che credo sia un po’ uno dei punti di forza del libro. Ecco, credo sia necessario  rimanere distaccati, essere come artisti che dipingono un’immagine che vediamo, riprodurla quanto più fedelmente possibile cercando di usare un linguaggio semplice. Io sono una fautrice della semplicità, attraverso la semplicità si arriva a tutti e il mio obiettivo è quello di far conoscere le cose ai lettori, una delle tante verità. Se ci fosse una sola verità sarebbe meglio però non fa parte probabilmente di questa vita.”
“Dov’è l’equilibrio secondo lei tra cronaca nera e informazione politica? È possibile un giusto mezzo tra gli ossessivi servizi su l’omicidio di Sarah Scazzi e un giornale fatto solo di informazione politica, specie se ci sono degli omicidi ancora a piede libero?”
MZ: “Qua apriamo il capitolo sulla spettacolarizzazione, sull’informazione sanguinolenta che oramai ci ha assuefatto tutti… ecco, probabilmente viene utilizzata per coprire un vuoto d’altro, un vuoto magari anche di responsabilità e coscienza politica. In effetti, anche basandosi su alcuni studi che aveva fatto l’osservatorio di Pavia era emerso che i telegiornali in Italia sono quelli in cui c’è il maggior numero di servizi di cronaca nera in assoluto. Tutto diventa un tam-tam  ripetuto in modo tale che sia il delitto che la vittima le persone le sentano quasi come dei familiari, delle persone molto vicine; secondo me questo proprio per coprire dei vuoti in altre sfere delle nostre vite, della nostra società e della nostra cultura, anche perché di vuoti culturali ne abbiamo effettivamente tanti."



Furlan ora è libero, lavora, si è pentito, è recuperato alla comunità. La sua mente è riuscita a superare quell’orrore. Abel no. Abel continua a negare, Abel non è libero. Non li avrebbero mai beccati se non li avessero presi con le taniche di benzina in mano mentre cercavano di dare fuoco alla discoteca di Castiglione delle Stiviere con 300 persone dentro. 
Gott Mit Uns.






Il primo omicidio compiuto da Wolfgang Abel (Dusseldorf, 1959) e Marco Furlan (Padova, 1960)  risale al 25 agosto del 1977 quando il senzatetto Guerrino Spinello venne bruciato nella sua Fiat 126 a Verona. Il 17 dicembre 1978 a Padova venne ucciso con più di 30 coltellate il sommelier omosessuale Luciano Stefanato. Il 12 dicembre 1979 a Venezia la vittima fu il tossicodipendente ventiduenne Claudio Costa. Nel 1980 Abel e Furlan uccisero a colpi di ascia e di martello la prostituta 52enne Alice Maria Baretta a Vicenza. Il 25 novembre dello stesso anno i due rivendicarono per la prima volta questi delitti col nome di Ludwig, inviando una lettera a Il Gazzettino. Furono anche accusati di avere dato alle fiamme, il 25 maggio 1981, la torretta di Porta San Giorgio a Verona, una piccola struttura abbandonata facente parte delle vecchie fortificazioni austriache, divenuta ricovero per sbandati e senza casa . Nell'incendio morì il diciassettenne Luca Martinotti, che stava trascorrendo la notte lì con un altro amico, rimasto gravemente ferito. Nonostante la rivendicazione da parte di Ludwig in un comunicato a La Repubblica, per questo delitto Furlan e Abel furono assolti. Il 20 luglio 1982 uccisero a martellate Gabriele Pigato e Giuseppe Lovato, entrambi frati settantenni del Santuario della Madonna di Monte Berico a Vicenza perché "tradivano il vero Dio". Il 26 febbraio 1983 uccisero a Trento il sacerdote don Armando Bison, che venne trovato con un punteruolo sormontato da un crocefisso conficcato nel cranio. Il 14 marzo 1983 diedero fuoco al cinema a luci rosse Eros di Milano, dove morirono sei persone e trentadue rimasero ferite. L'8 gennaio 1984 appiccarono un incendio alla discoteca Liverpool di Monaco; nel rogo morì una persona (una cameriera di origine italiana che lavorava nel locale) e altre sette rimasero ferite. Il 4 marzo 1984, mentre cercavano di dare fuoco con due taniche di benzina alla discoteca Melamara di Castiglione delle Stiviere vennero scoperti e arrestati. Dalle perquisizioni in casa dei due emerse come essi fossero i responsabili dei volantini di rivendicazione dei delitti. Al processo che seguì alle indagini, in seguito a perizia psichiatrica, ai due fu concessa la seminfermità di mente, grazie alla quale evitarono l'ergastolo. La condanna definitiva fu di 27 anni a testa. Nel febbraio del 1991, poco prima della definitiva condanna in cassazione, Furlan riuscì a scappare. Fu catturato, grazie alla segnalazione di una famiglia di turisti veneti in vacanza, nel maggio del 1995 a Creta, dove viveva sotto falso nome e riportato in ItaliaIl 12 novembre 2010 Furlan viene rimesso in libertà in seguito al suo comportamento positivo in libertà vigilata