sabato 24 marzo 2012

Magis amica veritas



Gli Augias non fanno cultura, gli Augias sono «devoti della cultura», categoria cui Marc Fumaroli ha dedicato un libro decisivo, «Lo stato culturale». Per dire: Philippe Daverio fa cultura (mette brillantemente la sua competenza al servizio del mezzo), gli Augias (ce ne sono tanti) usano la parola cultura come schermo, la impregnano di un significato volontaristico e missionario (ah, quel pubblico da redimere composto materialmente e idealmente di professoresse!), la fanno diventare qualcosa di simile a un progetto mistico, a una pianificazione, a un catechismo sociale, a un gadget da servizio pubblico.
Gli Augias sono gli idoli del ceto medio riflessivo, soddisfatti di apparire credendosi un'apparizione. E, sempre cedendo all'insistenza di qualche principio superiore, usano la «cultura» con un certo dirigismo che, per altro, influenza il mercato dei libri. Vorrebbero dedicare una parte della loro vita ad altre cose, ma per fortuna poi si mettono al nostro servizio in quella vasta e sorprendente vanity fair che è la tv.
Aldo Grasso, Corriere della Sera, 21 Marzo 2012


Al piano sotto casa mia abita un signore che veste sempre di bianco e si crede il papa.

La mattina si sveglia e sorride al mondo. Si sistema seduto appoggiando il cuscino in verticale sullo schienale del letto, si stropiccia gli occhi. La figlia che lo asseconda da tanto tempo gli porta ogni mattina a letto l’Osservatore Romano e due fette di pane e marmellata di mele cotogne, che lui tanto ama sin da quando era bambino. Sorride alla figlia come un Padre, un Santo Padre. La benedice. Non prende mai il caffè perché soffre di pressione alta (anche Pietro, d’altronde si dice che avesse di tali problemi), si concede quindi un bicchiere di latte freddo. Finita la lettura va in bagno e compie i riti mattutini (si vocifera che sotto la doccia canti le canzoni di Lucio Dalla. Dio l’avrà in gloria). Quindi si veste in abito talare e si affaccia alla finestra del balcone da cui celebra la messa delle undici e impartisce la benedizione. Urbi et Orbi ovviamente.
Questo tutti i giorni.

Al piano sopra a casa mia invece abita un signore che veste sempre di nero e si crede il papa.

Non ha figli. Non ha moglie. È solo. Tutte le mattine dopo aver fatto colazione con un cannolo siciliano e della coca cola va al bagno e canta a squarciagola sotto la doccia Un papa nero dei Pitura Freska. Si commuove sempre un po’ sul ritornello. Poi si veste dei suoi drappi scuri e aspetta quieto quieto che esca sul balcone il papa del piano di sotto per fare la sua benedizione delle undici. Attende che sia bene in vista, poi gli fa un gavettone.
Questo tutti i giorni.

Non avevo mai pensato di ritrovarmi, così lontano dal colonnato del Bernini a essere condomino di due papi. La cosa un po’ mi diverte e un po’ mi turba.
Devo ammettere che il papa bianco, è bravo, è davvero bravo: nelle sue prediche parla di Amore, di Carità, di Solidarietà, di Giustizia, di Verità, e di tante altre belle cose e ogni volta instilla negli spazzini della via privata sulla quale il suo balcone si affaccia vera fede cristiana. Non so perché il papa nero ce l’abbia con lui, forse vorrebbe essere lui il papa bianco, forse è perché non ha un balcone da cui affacciarsi e benedire via pellizzone.



Quando sono arrivato in libreria, mezz’ora prima, era già tutto pieno di vecchie. Si sventolavano i loro ventagli l’una sul collo dell’altra, tutte eccitate come teenager, si dilungavano a chiedersi ossessivamente “ma cosa dirà, ma cosa dirà? Oh come mi piace…è tanto bravo, tanto..:”. Poi immancabilmente il discorso finiva sul nipote che non riesce a laurearsi o che si sta laureando (“Ah sul serio? Complimenti. Complimenti a lei, signora. No, complimenti a noi, signorissima”) o che vorrebbe laurearsi ma intanto soffre perché non troverà il lavoro quando lo cercherà se si laureerà e quindi non si sposerà e non figlierà e lei non nonnerà e quando andrà all’aldilà felice non sarà. O variazioni sul genere tipo la cucina e il tempo.
E il tempo libero? Per adesso son giunte tutte là a stormi a ascoltare Corrado Augias.

Appena apre bocca, anzi no, appena fa la a comparsa in libreria, ben vestito, spettinato in maniera pettinata, con la sua parlata ordinata, pulita, elegante, con le sue citazioni ordinate, sapienti, conturbanti, con il suo nuovo libro di nuovo editore, colore, sapore, ecco già quando lo vedo salire sul palco me ne accorgo:



è lui il papa bianco.



[Questa volta l’intervista audio non mi è stata concessa per problemi di tempistica, dovendo il signor Augias prendere un aereo per Roma. Comunque mi ha dato modo di contattarlo successivamente e gentilmente ha trovato il tempo per rispondere alle mie domande. Lo ringrazio nuovamente]

D: Nei suoi libri precedenti lei si è confrontato con la religione del Cristianesimo e con l’istituzione della chiesa cattolica; in questo affronta il tema della libertà e della coscienza civile degli italiani. Può descriverci in cosa consiste secondo lei la continuità della sua ricerca personale?
R: Per rispondere alla sua domanda devo prima parlare di un episodio che  racconto anche nel libro: nel 1993 il giornalista Pino Nicotri, in una mirabile inchiesta (Tangenti in confessionale), fingendosi un affarista pentito in piena crisi spirituale e morale dopo essere stato pesantemente coinvolto nei processi di tangentopoli, andò in alcune delle più importanti chiese italiane, portandosi dietro un registratore. La domanda cruciale che rivolgeva al confessore era se dovesse collaborare o meno con la magistratura inquirente. Nonostante il cardinal Martini (sant’uomo!) avesse recentemente esortato tutti coloro che erano stati coinvolti in tangentopoli a collaborare con la giustizia, la risposta del confessore era quasi sempre orientata in senso opposto, formulata in termini che sottolineavano la priorità del pentimento privato su quello pubblico. Un confessore nel duomo di Milano (quindi nel cuore del vescovado di Martini) gli disse “io se fossi in lei non mi presenterei”. Ma ci pensa? Un pastore di anime!Un altro, nella chiesa di Sant’Ambrogio: “Nessuno è costretti a tradirsi. Non mi pare che sia veramente il caso”.
Ecco, capisce qual è il filo rosso della mia ricerca? Ci sono delle zone grigie delle quali trovo sia giusto parlare e credo sia fondamentale riuscire entrare nel cuore delle ipocrisie, provare a comprenderle, analizzarle e lasciare che sia il lettore a portare a compimento la riflessione. Nell’affrontare l’istituzione del Cristianesimo o la coscienza civile degli italiani mi sono sempre posto come obiettivo di fondo quello di far emergere la verità.

D: L’Italia è secondo “Freedom House al quarantesimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa, dietro a Cile, Benin e Namibia; altre classifiche ci mettono al sessantanovesimo posto mondiale per quanto riguarda la corruzione e addirittura all’ottantasettesimo per  l’occupazione femminile. Non è questa la radiografia di un paese che civilmente appartiene al sottosviluppo? Non è che da troppo tempo viviamo nell’illusione che loro malgrado ci hanno regalato dei geni isolati (da Dante a Leonardo da Vinci a Caravaggio a Enrico Mattei a Giulio Natta a Piero Gobetti a Lorenzo De Medici a Camillo Benso di Cavour)? Non crede che da sempre siamo molto distanti rispetto allo status che l’arte, la cultura e lo sviluppo economico ci hanno educato a pensare nostro?
R: Sono in parte d’accordo, anche se trovo la sua conclusione un po’ eccessiva. La questione è complessa e ho provato a dipanarla nel mio libro: il paese viene da 18 anni di governi Berlusconi in cui l’istituzione democratica è stata presa d’assalto da tutti i punti di vista e 18 anni non sono pochi. Però bisogna stare attenti: la democrazia è anche uno specchio e il rischio è che quelle fattezze grottesche che va riflettendo siano davvero le nostre.  Quanto Berlusconi ha riflettuto l’Italia? Cosa inquadrano quelle statistiche che lei ha citato? Inquadrano senz’altro una situazione di estrema precarietà dei diritti civili che è due volte figlia nostra: in quanto cittadini e in quanto elettori di governi che non hanno fatto altro che tollerare e quasi stimolare il nostro peggiore malcostume. Allo stesso tempo penso però che il paese sia ricco di risorse e credo sia in grado di reagire a questi 18 anni di sonno della ragione e di mostri.
Ciò a cui non so rispondere è quanto possa volerci per uscire dal baratro civile in cui siamo piombati;  anche perché io non sono uno di quelli che crede che non rivestendo più alcun ruolo istituzionale, Berlusconi abbia desistito dal desiderio di riuscire a influenzare ancora i futuri governi per fare il proprio utile. Ha troppi interessi in Italia per potersi ritirare.   

D: Lei si è espresso più volte e in più occasioni sulla libertà di espressione e di informazione. Riguardo a tale tema non bisogna dimenticare come oggi la diffusione e la sopravvivenza di un organo di informazione siano soggette alla legge del mercato. Pensiamo al caso de Il manifesto: non crede che la chiusura di un giornale sia di per sé una perdita per la libertà di stampa di un paese? È davvero più giusta una dimensione completamente liberista in cui, come vuole Beppe Grillo e il “Movimento 5 Stelle”, senza i finanziamenti statali i giornali devono pensare in primis alle vendite per sopravvivere? Il rischio non è un appiattimento dell’informazione?
R: E’ una situazione delicata, anche perché di per sé Il manifesto è un giornale abbastanza anomalo nel panorama dell’informazione. Il problema dei finanziamenti statali è emerso come tale perché non siamo riusciti a gestire la cosa nel modo in cui un paese civilmente maturo dovrebbe. Io non credo che i presupposti di tale finanziamento siano sbagliati: sono stati i criteri che lo regolavano ad aver generato l’indignazione dei cittadini. Credo che l’opinione pubblica possa avere solo dei vantaggi dal coesistere di un numero elevato di testate; allo stesso tempo  non si può in questo modo giustificare la pioggia di denaro pubblico che in passato è caduta su organi di partito come Il campanile dell’UDEUR di Mastella. Ecco, credo che quelli che sono giornali di partito debbano trovare modi alternativi per autofinanziarsi, e orientarsi a spostare sempre più la testata sul web così da evitare almeno i costi di stampa. Il caso de Il manifesto è diverso e io credo che testate con una storia come quella non possano chiudere dall’oggi al domani. Ho molto apprezzato l’appello che hanno rivolto ai propri lettori per aumentare le vendite; ma non credo che lo Stato sia in questo momento nelle condizioni per potersi esporre così tanto per un giornale così dichiaratamente di sinistra. Non so neanche loro a quali condizioni accetterebbero aiuto, conosco la direttrice e mi sembra una donna di grande responsabilità e fermezza.

D:Una fede religiosa comporta anche la sottomissione sia a un’autorità divina che a un’autorità istituzionale, rappresentata da un clero che si fa mediatore del rapporto collettivo con la divinità. Lo spazio della libertà religiosa del singolo non può non ritrovarsi quindi a essere ridimensionato laddove egli scelga l’adesione a un credo istituzionalizzato e gerarchizzato. Come pensa che tale impostazione possa influire sulla coscienza civile di un cittadino e sulla sua concezione della libertà? Come pensa che tutto ciò abbia avuto rilevanza nel successo di personalità politiche fortemente autoritarie in Italia?
R: Sull’argomento della libertà personale all’interno di un culto organizzato sono secoli che si disputa, pensi solo alla difficoltà del conciliare una divinità onnisciente e onnipotente con il concetto del libero arbitrio o a tutte le discussioni sull’origine del male; già Agostino si chiedeva “Unde malum?” e già Dante aveva messo in bocca a Marco Lombardo nel canto XVI del Purgatorio una dissertazione sul libero arbitrio. Quindi come vede è un problema di vecchia data che la comunità cristiana non è ancora riuscita a risolvere del tutto. Il rapporto chiesa-potere è anch’esso di vecchia data e credo che gli orientamenti e le prese di posizione politiche dei vari papi e vescovi e la loro vicinanza ad uno schieramento politico o la loro lontananza abbiano contribuito a plasmare una certa forma mentis nell’italiano: tutte le volte che l’interesse contingente si è scontrato con l’anima del messaggio cristiano e il primo ha avuto la meglio sul secondo, i fedeli italiani hanno perso un pezzetto di libertà nel loro modo di concepire il reale e, qualora si siano adeguati senza alcun ripensamento, anche un pezzetto della loro coscienza civile. Nel mio libro c’è tutto un capitolo dedicato a questo argomento e sulla questione della doppia morale.