Ascolta l'intervista a Peter Gomez:
Ogni
mattina da tre anni a questa parte vado a prendere il caffè al bar del sardo
vicino all’università. Ogni mattina alle 07.55 in punto sono lì e ogni mattina
seduti al bancone stanno tre ubriachi.
Uno è abbastanza giovane, avrà 32
anni, capelli scuri, occhiali a fondo di bottiglia. Tutti i giorni quando
arrivo lo trovo che ripete a se stesso “fannotuttischifofannotuttischifofannotuttischifofannotuttischifo…” A fianco a
lui c’è uno che avrà 60 anni o giù di lì, capelli ricci arruffati, barbetta
bianca; tutte le mattine quando arrivo lo trovo che ripete a se stesso
(o a quell’altro, non ho mai capito):
“lacrisilacastalacrisilacastalacrisilacasta…” Il terzo c’avrà 75-80 anni, è
sempre in giacca, gilè e papillon, lo chiaman tutti professore; ecco, tutti i
giorni quando arrivo lì, lui sta ripetendo sottovoce a un bicchiere di bonarda:
“ridammifanfaniridammiandreottiridammifanfaniridammiandreotti…”.
La
mattina dopo il giorno delle dimissioni di Berlusconi sono andato al bar con il
Corriere sotto braccio. Loro imperterriti:
“fannotuttischifofannotuttischifofannotuttischifofannotuttischifo..”
“lacrisilacastalacrisilacastalacrisilacasta…”
“ridammifanfaniridammiandreottiridammifanfaniridammiandreottiridammifanfaniridammiandreotti…”
Allora
ho tirato fuori il giornale e agitandoglielo sotto il naso ho detto:”Oh,
l’avete sentito che è caduto il governo? Adesso fanno Monti presidente del
Consiglio! Era ora, no?”
I tre
son rimasti in silenzio. Si sono voltati all'unisono a guardarmi; quindi si sono guardati in faccia l'un l'altro; quindi si sono nuovamente voltati verso di me e a turno hanno detto:
“E’
morto il re”.
“Evviva
il re.”
“Sputate
al re”.
Dopo di
che hanno ripreso con il loro solito tran tran, come se nulla fosse successo.
In fondo
al bar del sardo la mattina è facile trovarci un tipo basso basso, scuro scuro,
che si mangia un’arancia. Non so come si
chiami. Non alza mai la testa, sta sempre lì a pelare la buccia della sua arancia
pezzo a pezzo; ha un libro davanti a sé ma quasi non lo guarda. Ci ho parlato solo tre o quattro volte, per caso. La prima volta, io me ne stavo tranquillo al bancone a farmi riempire le orecchie dal sardo con chiacchiere a vuoto (a non rendere) mentre cercavo di prendere a sberle di caffeina quella mattina inutile, quando lui a un tratto mi punta il dito contro e mi dice: “Ma lei non sarà mica uno di quei deficienti che si fanno la foto da soli con in mano un foglio a quadretti strappato dal quaderno di matematica delle medie con su scritta una roba tipo 'io difendo la libertà di informazione?' Si, si, lei è uno di quelli, ha la tipica faccia da deficiente. Si vede a occhio. Non che io abbia niente in contrario, eh. Fate, fate pure. Tanto io resto della mia idea. Come tutti. Vede, io credo che la questione sia un po' sopravvalutata: a me ad esempio la libertà di stampa sta bene solo se è libertà dalla
stampa, guarda un po'!'”.
Io ho
pensato ma che vuole questo qua, ma che viene fare il filosofo con me? ma che sono qui per stare a sentire queste scemenze qua? ma chitteconosce, ma io boh, ora gli tiro la tazzina
del caffè in testa così se ne sta zitto. Se hai da smaltire una sbronza il mondo è pieno di martelli per acciaccarti le dita. che poi a me l'odore della sua cavolo di arancia dà pure fastidio. ma pensa te.
Invece
gli ho detto: “Ah. Bene. Buona giornata.”
Un’altra
volta invece mi ha detto “guardi , la grossa differenza fra me è lei che io ho
il coraggio di rendermi sgradevole. Io detesto un sacco di cose, davvero,
detesto pure la nazionale azzurra. Però, vede, io lo dico, lei no. A me non me
ne fotte niente del Ruanda, però lo dico. A lei pure non gliene fotte niente, però non lo dice. Questa è la differenza.”
E io ho
pensato, ma guarda questo qua, ma che vuole
da me, ma io gli tiro una padella, ma chi ti conosce, ma chi ti ha detto che
voglio sapere quello che pensi te, nano scemo del ciufolo, ma che sarai mica pure
fascista? Ma che sono il prete confessore che devo ascoltare qualunque coscienza con il mal di testa? ma pensa te.
Poi però non ho detto niente di tutto questo. Invece ho detto: “Ah. Buona giornata.”
Un’altra
volta mi ha preso da parte e mi fa: “vedo che lei legge i giornali, bravo,
bravo…lei crede di informarsi, mh? Ma non lo sa che l’informazione informa i
fatti, non sui fatti? I fatti non
accadono mai…Non conta mica la veridicità del fatto, come crede lei. Tsk.
Quello che importa è solo il convincimento che un fatto, vero, verosimile o palesemente inventato, riesce a raggiungere. I
fatti di per sé non servono a niente…”
E io
allora ho pensato no ma questo proprio con me ce l’ha? ma non è che ci sta
provando? ma io gli tiro una zuccheriera, così lo faccio stare zitto per un po’,
ma quanto chiacchiera, ma che siamo a Montecitorio, eh? ma che sono una caritas per chi non ha niente da fare? Che c'ho scritto in testa 'Bacheca per i consigli ai giovani'? ma pensa te.
Però poi
non ho detto questo, invece ho detto: “Ah”, e me ne sono andato a casa.
Quella stessa sera sono andato di nuovo alla Libreria Popolare di via Tadino: c'era la presentazione di Guerra e Pace, il nuovo mattone russo che la Mondadori sta cercando di sbolognare sul mercato. Io non l'ho letto però me ne avevano parlato bene. Solo che una volta lì ho scoperto che ero arrivato un po' tardi. Come tardi? Eh, l'autore non c'è. Come non c'è? Non c'è. Ma a che ora era l'incontro? No, non ha capito, non c'è più fisicamente: è morto. Morto? Da 100 anni. E' stata una cosa improvvisa. Eh si. E chi c'è stasera? Stasera c'è Peter Gomez. Buono? Ottimo. Va bene, proviamolo, me ne porti un piatto e un mezzo litro del rosso della casa. Subito signore.
Oh, questo Gomez era proprio bravo! Me ne sarei presi due piatti volentieri però volevo rimanere leggero perché il giorno dopo avevo lezione presto. Ho scoperto che è pure direttore de www.ilfattoquotidiano.it. Sarà stato il lambrusco, tutte le chiacchiere della mattina con il tipo basso basso, non so; però avevo un po' di domandine che mi frullavano per la testa e allora ne è venuta fuori questa breve intervista:
Oh, questo Gomez era proprio bravo! Me ne sarei presi due piatti volentieri però volevo rimanere leggero perché il giorno dopo avevo lezione presto. Ho scoperto che è pure direttore de www.ilfattoquotidiano.it. Sarà stato il lambrusco, tutte le chiacchiere della mattina con il tipo basso basso, non so; però avevo un po' di domandine che mi frullavano per la testa e allora ne è venuta fuori questa breve intervista:
“Per come la vede lei c’è solo un
modo giusto di fare informazione o la verità, che è l’obiettivo di ogni ricerca
giornalistica, può essere rincorsa in modi diversi? Facendo una citazione
illustre : Elio Vittorini scrisse a Mario Alicata su Il Politecnico che ‘la cultura cerca le verità e la politica se
volesse dirigerla non farebbe che tentare di chiuderla nella parte già trovata
della verità. Soprattutto non vorrebbe lasciarla sbagliare, e l’errore è
necessario pungolo alla cultura perché si rinnovi’. Condivide questa frase? La
si può applicare anche al metodo giornalistico?”
Peter Gomez:
“Guarda, io sono molto più cronista. Bisogna ricercare i fatti, verificarli e
presentarli se sono verificati. Quelle che sono ipotesi si presentano
chiaramente come sole ipotesi, il nostro compito è ricercare la verità ma più
che altro raccontare le cose giorno per giorno per quello che accadono, sapendo
di non avere sempre la verità in tasca. Quello che oggi sembra in un modo,
domani potrebbe dimostrarsi in un altro modo, non bisogna mai trarre
conclusioni affrettate.”
“Dalle pagine del vostro
quotidiano si levano spesso attacchi a quelli che voi definite ‘giornalisti
servi’; lei proprio non crede alla loro libertà di coscienza? Crede che la loro
sia solo una scelta di convenienza? Penso anche a giornalisti anche con
posizioni interessanti in quello che è il panorama della ‘destra’, come Facci o
Cruciani…”
PG:
“Mah, c’è caso e caso. Ti dico delle esperienze personali: finché non è
scoppiato il caso ‘Betulla’, io pensavo che quello che conosciamo come Betulla fosse
semplicemente una persona che la pensava in maniera differente da me. Poi
abbiamo scoperto che prendeva dei soldi. (si riferisce al giornalista
-attualmente anche deputato- Renato
Farina, il quale, in seguito a un indagine della magistratura, ha ammesso di aver collaborato, quando era
vicedirettore di Libero, con i servizi segreti italiani, fornendo informazioni e
pubblicando notizie false in
cambio di denaro. Per questo episodio è stato radiato dall'Ordine dei
Giornalisti, anche se in seguito la Corte di Cassazione ha annullato tale provvedimento, N.d.A.).
È a caso a caso, non si può generalizzare. Anche questa cosa dei giornalisti di
destra, eccetera…a destra ci sono anche degli ottimi cronisti. Poi è legittimo
avere la propria opinione sul mondo…io non penso che tutti quelli che la
pensano in maniera diversa prendano dei soldi perché altrimenti loro stessi
sarebbero autorizzati a pensare il contrario di qualcun altro. Certo, non è un
bel mondo…ma non è un mondo fatto di giardinieri”.
“Spesso la cronaca nera è usata
da alcuni giornalisti per nascondere vicende politiche. Pensiamo ai plastici di
Bruno Vespa. Ecco, cosa dovrebbe fare un buon direttore di giornale di fronte a
un caso come Ludwig, sopratutto fin tanto che gli assassini sono a piede
libero? Non raccontare? Lasciare la notizia in quindicesima pagina o più giù?”
PG: “No,
no, raccontare e raccontare con ampio spazio, raccontando tutte le notizie che
i suoi cronisti sono in grado di trovare. Non dimentichiamoci che il dovere
nostro di giornalisti è raccontare i casi che interessano la gente. Il problema
di Bruno Vespa non è che lui abbia raccontato con decine e decine di
particolari dal servizio pubblico una serie di delitti, da Cogne a quant’altro;
il problema è che non ha raccontato il resto. La cronaca nera è un giornalismo
assolutamente di serie A e deve finire anche in prima pagina. Noi dobbiamo
pensare che da una parte abbiamo il dovere di informare su tutto ciò che
interessa la gente e che dall’altra abbiamo un altro dovere, di pagarci i
nostri stipendi e mantenerci i nostri giornali. Quello che fa vendere i
giornali non è necessariamente ignobile, dipende come li affrontiamo gli
argomenti.”
“Un gran numero di persone guarda
alla rete come a uno spazio libero, un luogo in cui trovare le verità oscurate
dai mezzi di informazione tradizionali, un terreno al di sopra degli
ordinari schieramenti ideologici e politici. Umberto Eco e altri intellettuali
hanno invece invitato a maggiore cautela, ricordando come in Cina internet sia
al contrario strumento di potere censorio e di controllo e mostrando come nella
molteplicità delle opinioni e dei siti sia divenuto sempre più difficile capire
di chi fidarsi e riconoscere la verità. Lei in quanto giornalista e direttore
del sito internet di un giornale, come si pone in questo dibattito?”
PG: “In
Cina c’è un problema di censura, ma che riguarda tutti i media. Nonostante la
censura che c’è in Cina, milioni di persone che ne sono in grado riescono in
parte a sfuggirvi perché internet permette a chi ha le conoscenze tecnologiche
adeguate forme di navigazione anonima e forme attraverso le quali si può
entrare in collegamento con altre persone non riducendo a zero, ma riducendo al
massimo tutta una serie di rischi. La posizione di Eco e di altri intellettuali
è sicuramente vera, ma equivale a quello che accade in ogni edicola ogni
giorno, non tutti i giornali fanno buona informazione e c’è un sacco di gente
che è convinta che invece il giornale che legge faccia dell’ottima
informazione. C’è una tendenza da parte di alcuni strati di cittadini a
scegliere quel media e quelle voci che gli raccontano quello che vogliono
sentirsi raccontare. In rete c’è la possibilità, se ben sfruttata e se ci si fa
garanti dell’informazione con la propria credibilità che non si conquista in un
giorno, c’è la possibilità di far passare dei messaggi diversi. Cero c’è ancora
gente che è convinta che Bin Laden non c’entri con le due torri, e questo è
stato frutto di informazioni…non false…ma non complete diffuse dalla rete. È
per quello che il giornalista professionista e onesto sa cogliere o deve saper
cogliere qual è il particolare e sapere concatenare i particolari fra di loro
per poter dare un senso al quadro completivo e certe volte non riuscendoci. Lo
sforzo che cerchiamo di fare noi a Il Fatto Quotidiano è di aprire nel sito
internet, tenendo separati i fatti dalle
opinioni, una platea di blogger più vasta possibile con anche idee politiche o
convinzioni diverse tra di loro, così che
a poco a poco i cittadini possano cominciare a apprezzare quello che di
buono ti può dire anche quello considerato un avversario o ideologico”.
A casa
mi sono fatto una pasta aglio e olio. Sul primo davano Radio Londra. Mentre lo
guardavo non ho pensato a quello che mi ha detto Gomez, non ho pensato a quello
che mi aveva detto il tipo basso basso del bar, e nemmeno a quello che andavano
ripetendo i vecchi. Tutto quello che ho pensato è stato che il grassone ha
degli occhi azzurri bellissimi e che poter veder un ciccione seduto a una
scrivania rotante che parla per cinque
minuti di quello che gli passa per la testa
è davvero una cosa bellissima, e chi non è in grado di capirlo è già sconfitto.
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